sabato 27 dicembre 2025

Taurasi D.O.C.G. "Vigna Cinque Querce" 2008 - Salvatore Molettieri

Ben ritrovati su VinoDegustando!

Qui ogni bottiglia racconta una storia di territorio, tempo e passione, e dove ogni degustazione diventa un viaggio sensoriale capace di unire memoria, tecnica e identità. Il vino non è solo un prodotto, ma un racconto vivo che attraversa terroir, vigne, mani, stagioni e scelte consapevoli.

Oggi vi porto tra le vigne più alte e silenziose del Sud Italia, in un luogo dove l’Aglianico trova una delle sue espressioni più profonde e autorevoli. Siamo nel cuore dell’Irpinia, patria del Taurasi D.O.C.G., per ascoltare la voce intensa e stratificata di un vino che ha molto da dire: Vigna Cinque Querce 2008. Un rosso che non si limita a esprimere il vitigno, ma lo scolpisce nel tempo, tra legni nobili, altitudine, clima severo e una pazienza produttiva che oggi appare quasi eroica.

È un vino che parla di roccia, spezie, balsami e memoria. Un vino che non si racconta: si ascolta, si osserva, si attende. Ogni sorso è un frammento di territorio, un’eco di annate passate, un gesto di cura che diventa materia liquida.

Ottenuto da uve Aglianico in purezza, coltivate nella vigna che dà il nome al vino – Vigna Cinque Querce – situata a 500–550 metri s.l.m. con esposizione Sud-Est, questo rosso nasce su suoli argilloso‑calcarei, ricchi di minerali e capaci di donare struttura, tensione e longevità. L’impianto è a spalliera, con potatura Guyot e una densità di 2.500–3.000 ceppi per ettaro. Il vigneto ha un’età compresa tra 18 e 22 anni, con una resa media di 70 quintali di uva per ettaro, perfetta per garantire concentrazione e finezza.

La vendemmia manuale avviene in cassetta, tra l’inizio e la metà di novembre, quando l’Aglianico raggiunge la piena maturazione fenolica. La selezione è rigorosa, pensata per portare in cantina solo i grappoli migliori. La fermentazione alcolica si svolge in acciaio a temperatura controllata, così da preservare integrità aromatica e precisione. La maturazione prosegue per 48 mesi in barriques e botti grandi di rovere, un percorso lungo che permette al vino di distendersi, respirare e acquisire complessità. Infine, il vino affina in bottiglia per almeno 6 mesi prima della commercializzazione.

Ma ora a lui la parola.

Alla vista si presenta con un rosso granato vivo e luminoso, segno di una maturità importante ma ancora vitale, capace di raccontare il tempo senza cedere alla stanchezza.

Al naso è intenso, elegantissimo, quasi austero. Si apre con marasca sotto spirito, prugna disidratata, bacche di sambuco, poi arrivano spezie scure come pepe nero, noce moscata e chiodi di garofano. Emergono note di sottobosco, humus, cuoio, seguite da richiami minerali di grafite e da una sfumatura iniziale di goudron, tipica dei grandi rossi da lungo affinamento. Il tutto è avvolto da una balsamicità profonda, che dona respiro, ampiezza e un senso di verticalità aromatica.

In bocca è freschissimo, sapido, con un corpo imponente e tannini nobili, ancora in fase di integrazione ma già eleganti. La corrispondenza con il naso è impeccabile, con l’aggiunta di una nota netta di liquirizia nera. La persistenza è notevole, con un finale lungo sulle note balsamiche e minerali, che restano a lungo sul palato.

Nonostante i suoi 17 anni, questo Taurasi dimostra energia, struttura e un potenziale evolutivo ancora sorprendente. Ha bisogno di ulteriore affinamento e promette una vita lu
nga e affascinante.

Peccato fosse l’ultima bottiglia. Complimenti al produttore!

Buone degustazioni a tutti!

D.B.

giovedì 25 dicembre 2025

Rubrica "Approfondimenti Tecnici" di VinoDegustando: Macerazioni estese nei vini bianchi e orange wines

Cari appassionati e curiosi del mondo del vino, benvenuti su VinoDegustando!

Oggi entriamo nel cuore di una delle tecniche più affascinanti e discusse della vinificazione contemporanea: le macerazioni estese nei vini bianchi e l’universo sempre più ricco degli orange wines. Un tema che unisce storia, ricerca e identità, e che sta ridefinendo il modo in cui interpretiamo l’uva, il tempo e la materia.

La macerazione estesa nei vini bianchi è una pratica antica che oggi vive una nuova fase di interesse grazie alla crescita degli orange wines e alla ricerca di vini più autentici. Questa tecnica, basata sul contatto prolungato tra mosto e bucce, modifica in modo profondo struttura, aromi e stabilità. Per molti produttori rappresenta un ritorno alle origini, mentre per gli appassionati è un modo per scoprire vini bianchi macerati ricchi di carattere e identità.

Cos’è la macerazione estesa nei vini bianchi

Nella vinificazione moderna i vini bianchi vengono quasi sempre prodotti senza bucce, per ottenere freschezza e profili puliti. La macerazione estesa ribalta questo schema: il mosto resta sulle bucce per ore, giorni o settimane, come avviene nei vini rossi. Questo processo permette l’estrazione di tannini, polifenoli, aromi e pigmenti che influenzano corpo, colore e longevità.

La durata della macerazione può variare da 12 ore fino a oltre 60 giorni e più, in base allo stile ricercato. Le uve più adatte sono quelle con buccia spessa e buona acidità, come Ribolla Gialla, Malvasia, Trebbiano, Garganega, Pinot Grigio e molte varietà antiche oggi rivalutate.

Perché la macerazione estesa è tornata attuale

Il ritorno dei vini bianchi macerati non è una moda passeggera. È la risposta a tre tendenze chiave del mercato:

  • Ricerca di autenticità: la macerazione sulle bucce esalta il carattere varietale e il legame con il territorio.
  • Riduzione degli interventi: la maggiore stabilità fenolica permette di limitare solfiti e chiarifiche.
  • Interesse per vini più complessi: consumatori e sommelier cercano vini materici, gastronomici e longevi.

Questi fattori hanno riportato in primo piano tecniche antiche come le fermentazioni spontanee, le anfore e le macerazioni lunghe in tini aperti.

Cosa accade durante la macerazione

La macerazione estesa attiva processi fisici e biochimici che trasformano il profilo del vino:

  • Estrazione fenolica: tannini e flavonoidi aumentano corpo, grip e longevità.
  • Maggiore struttura: il vino diventa più pieno, con sensazioni tattili simili ai rossi leggeri.
  • Evoluzione aromatica: emergono note di erbe, spezie, frutta secca, tè, miele e scorza.
  • Stabilità naturale: i composti estratti proteggono da ossidazioni e riduzioni.
  • Colore più intenso: il vino assume tonalità dorate, ramate o aranciate.

Il risultato è un vino più complesso, meno immediato, ma ricco di sfumature e capace di evolvere nel tempo.

Orange wines: identità e stile

Gli orange wines sono vini bianchi macerati con contatto prolungato sulle bucce, spesso vinificati con fermentazioni spontanee e affinamenti in legno grande, anfora o cemento. Il loro colore varia dal giallo intenso all’ambra, mentre il profilo sensoriale unisce freschezza, tannino e aromi evoluti.

Caratteristiche tipiche:

  • colore caldo e profondo
  • tannino fine e presente
  • aromi di frutta matura, erbe, resina, tè, miele
  • struttura ampia e finale asciutto
  • grande versatilità gastronomica

Sono vini che richiedono attenzione, ma offrono un’esperienza sensoriale unica.

Vantaggi e criticità della macerazione estesa

Vantaggi:

  • identità varietale più marcata
  • struttura solida e persistente
  • stabilità naturale
  • minor uso di additivi
  • stile distintivo e riconoscibile

Criticità:

  • rischio di ossidazioni se la gestione non è precisa
  • estrazioni eccessive che portan
    o a durezze
  • necessità di uve sane e raccolte al momento ideale
  • tempi di cantina più lunghi

La chiave è l’equilibrio: una macerazione ben gestita può dare vini straordinari, mentre un eccesso può compromettere finezza e bevibilità.

Quindi la macerazione estesa nei vini bianchi e la produzione di orange wines uniscono storia, tecnica e ricerca, offrendo vini intensi, longevi e profondamente legati al territorio. Per chi ama esplorare, sono un invito a scoprire un modo diverso di interpretare l’uva e il tempo.

Buone degustazioni a tutti!

D.B.

martedì 23 dicembre 2025

Rubrica "Approfondimenti Tecnici" di VinoDegustando: Vitigni Perduti - la storia dimenticata della viticoltura italiana e non solo

Buongiorno a tutti gli appassionati di vino, fedeli lettori di VinoDegustando!

Benvenuti tra le radici del tempo: oggi iniziamo un viaggio dedicato alla riscoperta dei vitigni antichi, varietà ormai scomparse o quasi, che un tempo popolavano il panorama italiano e internazionale. Nelle prossime settimane esploreremo le uve più rappresentative di diverse regioni italiane, per poi proseguire con quelle estere.

Nel vasto mosaico della viticoltura mondiale esiste un patrimonio silenzioso, fatto di uve che un tempo erano diffuse e oggi sopravvivono solo in pochi ceppi custoditi da ricercatori e appassionati. Parlare di vitigni perduti significa raccontare la memoria agricola del Paese, la biodiversità che rischiamo di perdere e il valore culturale che ancora oggi possiamo recuperare.

In un’epoca in cui il vino cerca autenticità, identità e sostenibilità, riscoprire queste varietà non è un gesto nostalgico: è una scelta strategica che guarda al futuro.

Cosa sono i vitigni perduti

Con “vitigni perduti” si indicano quelle uve non più coltivate o presenti in quantità così ridotte da non avere alcun ruolo produttivo. Molte sopravvivono solo in collezioni ampelografiche, in vecchi filari dimenticati o nei registri storici delle campagne italiane. Sono testimoni di un passato agricolo ricco, fatto di selezioni naturali, adattamenti locali e scelte contadine tramandate per generazioni.

Perché sono scomparsi

La scomparsa dei vitigni perduti non è mai casuale. Le cause principali sono:

  • La fillossera, che tra fine Ottocento e inizio Novecento ha cancellato interi patrimoni genetici. Molte uve non sono mai state reinnestate.

  • La bassa produttività, che ha portato all’abbandono delle varietà meno redditizie.

  • La standardizzazione del mercato, con l’avvento dei vitigni internazionali e la ricerca di produzioni più omogenee.

  • L’abbandono delle campagne, che ha disperso la memoria viticola di molte zone rurali.

  • La scarsa adattabilità ai nuovi sistemi di allevamento, che ha favorito la sostituzione di varietà locali con altre più moderne.

Vitigni perduti italiani: esempi emblematici

L’Italia custodisce una lunga lista di vitigni scomparsi o quasi estinti. Tra questi ci sono:

  • Raverusto (Trentino) – Citato nel Settecento, oggi sopravvive solo in collezioni sperimentali.

  • Uva della Madonna (Emilia‑Romagna) – Un tempo diffusa nei colli bolognesi, oggi quasi estinta.

  • Cornacchia (Marche) – Vitigno ottocentesco scomparso con la fillossera.

  • Uva Ruggine (Toscana) – Sparita tra fine Ottocento e inizio Novecento.

  • Bianchetta genovese antica (Liguria) – Da non confondere con la Bianchetta di oggi: questa variante storica è ormai perduta.

Vitigni perduti nel mondo

La perdita di biodiversità non riguarda solo l’Italia. Anche altri Paesi hanno visto scomparire o quasi, varietà storiche come:

  • Gouais Noir chiamato anche Gouget Noir (Francia) – Parente del Gouais Blanc, oggi estinto.

  • Mornen Noir (Francia) – Antico vitigno del Rodano, scomparso dopo la fillossera.

  • Alvarelhão Branco (Portogallo) – Variante bianca di un vitigno rosso ancora esistente.

Vitigni “resuscitati”: quando la biodiversità rinasce

Non tutti i vitigni abbandonati sono però destinati all’oblio. Alcuni sono stati recuperati grazie alla ricerca e alla passione di vignaioli lungimiranti. Tra i casi più noti:

  • Timorasso – Piemonte

  • Schioppettino – Friuli‑Venezia Giulia

  • Perricone – Sicilia

  • Nascetta – Piemonte

  • Recantina – Veneto

  • Cesanese – Lazio

Questi esempi dimostrano che la biodiversità può tornare a vivere quando territorio, ricerca e comunicazione lavorano insieme.

Riscoprire queste varietà significa:

  • valorizzare l’identità territoriale

  • arricchire la biodiversità genetica

  • offrire nuove opportunità enologiche

  • raccontare storie che il pubblico ama

  • proteggere un patrimonio culturale unico

In un mercato sempre più attento all’unicità, i vitigni perduti possono diventare un elemento distintivo per produttori, territori e comunicatori del vino.

Buone degustazioni a tutti!

D.B.



sabato 20 dicembre 2025

Isola dei Nuraghi I.G.T. Rosso Syrah "Uttiu" 2014 - Tenute Rossini

Buon sabato e buon we a tutti gli amici del buon vino artigianale! 

Oggi su VinoDegustando vi parlerò di un vino assaggiato durante la mia visita a alla Fiera dei Vini a Piacenza 2025, tenutasi dal 22 al 24 Novembre presso Piacenza Expo; terza edizione di questa bellissima manifestazione che ha portato novità come il focus sulla mixology e il turismo enologico, oltre a fantastici vini locali. 

Il vino in questione è  l'Isola dei Nuraghi I.G.T. Rosso Syrah "Uttiu" nella fantastica espressione del millesimo 2014, prodotto da Tenute Rossini.

Syrah in purezza, frutto di un terroir unico e di una vinificazione artigianale, capace di raccontare la forza e la raffinatezza di questo vitigno internazionale.

Le
viti affondano le radici in un terreno calcareo misto a marne, arricchito da strati argillosi che donano equilibrio e complessità. Il sistema di allevamento a cordone speronato, con una densità di 5000 ceppi per ettaro, garantisce rese contenute (60–80 q.li/ha) e grappoli di qualità superiore.

La raccolta avviene tra settembre e ottobre, nel momento della perfetta maturazione fenolica. Ogni grappolo viene selezionato con cura per preservare aromi e concentrazione, dando vita a un vino che esprime al meglio il carattere del Syrah.

La fermentazione è spontanea, senza controllo della temperatura, a testimonianza di un approccio naturale e rispettoso delle caratteristiche del vitigno. L’invecchiamento in barriques regala al vino struttura, morbidezza e note speziate che si intrecciano con la freschezza fruttata tipica del Syrah.

Ma ora diamo la parola a lui:

Alla vista si presenta con un colore rosso granato carico, profondo e luminoso.

Al naso è intenso ed elegantissimo, con sfumature balsamiche e ricchi sentori di marasca maturabacche di mirto e ginepro. Seguono note terrose di humus, accenni di cioccolato mentolato, e un ventaglio di spezie che richiama noce moscata, chiodi di garofano e pepe nero. La complessità si arricchisce di mineralità di grafite e di un iniziale e intrigante accenno di goudron.

Al palato è freschissimo, sapido e polposo, con una struttura armoniosa e una trama tannica importante ma nobile. La persistenza è notevole, con un finale che si imprime sulle note balsamiche, minerali e speziate, regalando un’impressione di grande eleganza e profondità.

Chapeau!

Da abbinarsi a piatti robusti e speziati, in particolare carni rosse, salumi saporiti, formaggi stagionati o piatti al forno.

Buone degustazioni a tutti!

D.B.

giovedì 18 dicembre 2025

Rubrica "Approfondimenti Tecnici" di VinoDegustando: Tecniche di macerazione: carbonica, lunga, a freddo — effetti su colore e tannini

 Amici wine lovers bentornati su VinoDegustando!

La macerazione è una fase cruciale della vinificazione, in cui le bucce dell’uva restano a contatto con il mosto per estrarre colore, tannini e sostanze aromatiche. La scelta della tecnica influenza profondamente lo stile del vino, determinando la sua struttura, la sua intensità cromatica e la sua capacità di evoluzione nel tempo.

In questo articolo analizziamo tre approcci distinti: macerazione carbonica, macerazione lunga e macerazione a freddo, valutando i loro effetti su colore e tannini.

Macerazione carbonica

La macerazione carbonica è una tecnica resa celebre dal Beaujolais Nouveau francese e dal vino novello italiano. Consiste nell’inserire grappoli interi in un ambiente saturo di anidride carbonica, senza pigiatura iniziale. All’interno degli acini avviene una fermentazione intracellulare, che trasforma gli zuccheri in alcol e produce aromi particolarmente fruttati.

Effetti su colore e tannini

  • Colore: i vini ottenuti hanno tonalità vivaci ma poco stabili, con rossi brillanti che tendono a evolvere rapidamente.
  • Tannini: la macerazione carbonica estrae pochi tannini, dando vini morbidi, leggeri e poco strutturati.
  • Profilo sensoriale: prevalgono aromi di frutta fresca (fragola, lampone, banana), con una bevibilità immediata ma scarsa longevità.

Questa tecnica è ideale per vini da consumo rapido, pensati per esprimere freschezza e immediatezza piuttosto che complessità o capacità di invecchiamento.

Macerazione lunga

La macerazione lunga è la tecnica tradizionale dei grandi rossi da invecchiamento. Prevede un contatto prolungato tra bucce e mosto, che può durare settimane, spesso con cappello sommerso o rimontaggi frequenti.

Effetti su colore e tannini

  • Colore: si ottengono vini con tonalità intense e stabili, grazie all’estrazione completa di antociani e alla loro interazione con i tannini.
  • Tannini: la lunga macerazione favorisce la polimerizzazione dei tannini, rendendoli più complessi e capaci di sostenere l’invecchiamento.
  • Profilo sensoriale: vini strutturati, con corpo pieno, note speziate e grande potenziale evolutivo.

È la tecnica tipica di vitigni come Nebbiolo, Sangiovese o Cabernet Sauvignon, dove la ricchezza tannica diventa un elemento di forza e di identità.

Macerazione a freddo

La macerazione a freddo, o criomascerazione, consiste nel mantenere il mosto a contatto con le bucce a temperature inferiori ai 10°C, prima dell’inizio della fermentazione. L’obiettivo è estrarre aromi e colore senza favorire l’estrazione eccessiva di tannini.

Effetti su colore e tannini

  • Colore: si ottengono vini con colori brillanti e intensi, grazie alla solubilità degli antociani a basse temperature.
  • Tannini: l’estrazione è limitata, per cui i vini risultano più morbidi e meno aggressivi.
  • Profilo sensoriale: vini freschi, aromatici, con note fruttate e floreali, adatti a un consumo relativamente giovane.

Questa tecnica è molto utilizzata per valorizzare vitigni aromatici o per produrre rossi di medio corpo, dove la piacevolezza immediata è prioritaria rispetto alla longevità.

Tabella comparativa

Tecnica

Colore

Tannini

Stile del vino

Carbonica

 Vivace, poco stabile

  Pochi, morbidi

Fresco, fruttato, da pronta beva

Lunga

 Intenso, stabile

 Ricchi, complessi

Strutturato, longevo

A freddo

 Brillante, aromatico

Moderati, vellutati

Giovane, fragrante, elegante

Quindi la scelta della tecnica di macerazione dipende dagli obiettivi enologici e dal vitigno.

  • La macerazione carbonica è perfetta per vini giovani e conviviali.
  • La macerazione lunga è indispensabile per rossi da invecchiamento, capaci di raccontare il territorio con profondità.
  • La macerazione a freddo rappresenta un compromesso moderno, che esalta aromi e colore senza eccessiva durezza tannica.

In definitiva, ogni tecnica è uno strumento nelle mani dell’enologo: ciò che conta è la capacità di armonizzare colore e tannini con lo stile desiderato, rispettando l’identità del vitigno e del terroir.

Buone degustazioni a tutti!

D.B.



martedì 16 dicembre 2025

Rubrica "Approfondimenti Tecnici" di VinoDegustando: Le Anfore, contenitori alternativi di oggi provenienti dal passato

 Benvenuti su VinoDegustando!

Oggi vi accompagniamo in un viaggio tra storia e innovazione, riscoprendo l’anfora come simbolo millenario della vinificazione, ponte autentico tra passato e presente.

L’anfora è uno dei simboli più antichi della vinificazione. Le civiltà mediterranee – dagli etruschi ai romani, passando per i greci – utilizzavano recipienti in terracotta per fermentare, conservare e trasportare il vino. In Georgia, patria della viticoltura, le qvevri venivano interrate per vinificare con le bucce, dando vita a vini intensi, ossidativi e longevi. Questo metodo, tramandato per millenni, rappresenta una delle forme più pure di vinificazione naturale, ancora oggi riconosciuta come patrimonio culturale dall’UNESCO.

Dall’anfora alla botte

Con il Medioevo, l’anfora cedette il passo alle botti in legno, più pratiche e capaci di influenzare il vino con aromi e tannini. Tuttavia, in alcune zone rurali, l’uso dell’anfora non scomparve del tutto. In Georgia e nel Mediterraneo, rimase viva come custode di tradizioni e tecniche ancestrali. Il legno introdusse nuove possibilità: affinamento, aromi speziati e maggiore resistenza. Ma la terracotta conservò un fascino unico, legato alla sua neutralità e alla capacità di esprimere la purezza del frutto.

Rinascita moderna

Negli ultimi decenni, l’anfora è tornata protagonista. Molti produttori artigianali e cantine innovative l’hanno riscoperta per le sue qualità uniche:

  • Microossigenazione naturale: la porosità della terracotta consente uno scambio lento e costante con l’ossigeno, simile al legno ma senza cedere aromi.
  • Neutralità aromatica: l’anfora non altera il profilo del vino, esaltando la purezza del vitigno e del territorio.
  • Sostenibilità: l’uso di materiali naturali e la possibilità di interrare le anfore riducono l’impatto ambientale.
  • Valore narrativo: il richiamo a una pratica millenaria aggiunge fascino e autenticità al racconto del vino.

Questa rinascita si inserisce nel movimento dei vini naturali, dove trasparenza e rispetto del territorio sono valori centrali. L’anfora diventa così un simbolo di autenticità e di ritorno alle origini.

Profili sensoriali

I vini in anfora si distinguono per:

  • Struttura e freschezza: grazie alla microossigenazione controllata.
  • Note minerali e complesse: spesso più intense rispetto ai vini in acciaio o legno.
  • Identità territoriale: l’anfora diventa un mezzo per esprimere la tipicità del vitigno senza interferenze.

Molti vini in anfora presentano una texture particolare, con tannini più levigati e una sensazione tattile che richiama la materia viva della terracotta. Non è raro trovare descrizioni che parlano di “energia” e “vitalità” nel calice.

Tra passato e futuro

Oggi, l’anfora è simbolo di un ritorno alle origini e di una nuova visione enologica. In Italia, molte cantine la utilizzano per creare vini autentici, eleganti e profondi. Il vino in anfora è diventato una categoria riconosciuta e apprezzata. La scelta dell’anfora non è solo tecnica, ma anche comunicativa: racconta un legame con la terra, con la storia e con la sostenibilità. Per il consumatore moderno, attento all’ambiente e alla qualità, rappresenta un segno di coerenza e responsabilità.

Nelle foto dell’articolo, il confronto tra qvevri georgiane e anfore italiane contemporanee evidenzia:

  • la forma tondeggiante e interrata delle qvevri, pensata per la vinificazione in profondità;
  • la linea slanciata ed elegante delle anfore moderne, spesso dotate di supporti e coperchi, usate per esaltare la purezza varietale.

Queste immagini raccontano visivamente il ponte tra passato e presente, rendendo immediata la percezione delle differenze e delle continuità.

Quindi possiamo concludere affermando che l’anfora non è solo un contenitore, ma rapporesenta un ponte tra epoche, un simbolo di autenticità e sperimentazione. Nel calice, il vino in anfora racconta una storia di continuità, cultura e innovazione. Per chi cerca vini veri, territoriali e ricchi di significato, l’anfora rappresenta una scelta consapevole e affascinante. La sua rinascita dimostra come la tradizione possa dialogare con la modernità, offrendo al mondo del vino nuove prospettive e un linguaggio che unisce memoria e futuro.

Buone degustazioni a tutti!

D.B.


sabato 13 dicembre 2025

Vino Bianco "l'imbevivile" 2019 - Claudio Mariotto

Benvenuti wine lovers e affezionati lettori di VinoDegustando!

Oggi vi accompagno in un viaggio sensoriale tra i Colli Tortonesi, patria del Timorasso Derthona DOC; su queste colline, conosciute anche come Derthona, il vitigno Timorasso si esprime con autenticità e carattere. Questo vino bianco autoctono di questa zona del Piemonte è oggi considerato una delle eccellenze enologiche italiane, capace di raccontare il territorio con eleganza e intensità, evolvendo in maniera eccezionale con lo scandire del tempo e con la maturazione naturale che ne arricchisce ulteriormente la complessità.

Oggi ci soffermiamo su una versione “particolare” e affascinante di questo vino: il Vino Bianco “L’Imbevivile” 2019, creato dal bravissimo ed estroso vignaiolo Claudio Mariotto, punto di riferimento per il Timorasso e amico stimato nel panorama vitivinicolo. La sua interpretazione del vitigno è sempre originale e sorprendente, capace di unire rigore tecnico e creatività, regalando vini che emozionano e rimangono impressi nella memoria di chi li assaggia.

Le viti, allevate a Guyot, affondano le radici in terreni calcarei e argillosi, che donano al vino struttura e mineralità. La coltivazione è rispettosa dell’ambiente: nessun concime chimico, nessun diserbante, nessun prodotto sistemico. Solo la forza naturale del suolo e la cura dell’uomo, per un approccio sostenibile e autentico che valorizza la biodiversità e preserva l’equilibrio del vigneto, garantendo vini che riflettono fedelmente il territorio.

La vendemmia, attesa fino alla fine di settembre, è un momento di raccolta paziente e selettiva. I grappoli vengono pressati con delicatezza, in un processo lento e soffice che preserva integrità e freschezza. Segue una macerazione sulle bucce di circa quindici giorni, durante la quale il mosto si arricchisce di profumi e complessità. La fermentazione spontanea avviene a temperatura controllata, esaltando l’identità del vitigno e permettendo ai lieviti indigeni di esprimere tutta la ricchezza aromatica del Timorasso.

Il percorso del vino prosegue con un affinamento di 12 mesi sulle fecce nobili in anfora, che conferisce profondità e sfumature uniche. Segue un ulteriore riposo di almeno 12 mesi in bottiglia, tempo prezioso in cui il Timorasso si armonizza e si compone, pronto a raccontare la sua storia con eleganza e intensità, rivelando un potenziale evolutivo straordinario che lo rende capace di sorprendere anche a distanza di anni.

Alla vista è arancio brillante e luminoso, di rara bellezza e lucentezza.

All’olfatto è intenso e complesso, con sentori di carruba, ruggine, arancia candita, pepe bianco, chiodi di garofano, radice di ginseng, fiore di camomilla e tanta balsamicità e mineralità. Ogni respiro porta nuove sfumature, regalando un mosaico aromatico che racconta la ricchezza del vitigno e la mano sapiente del produttore.

Alle papille gustative si presenta freschissimo, sapido, glicerico, armonico ed equilibrato. Persistente, con finale balsamico, fresco e piacevole, impreziosito dal pepe bianco. È un vino che non si limita a soddisfare, ma invita a riflettere e a godere lentamente di ogni sorso, lasciando una traccia indelebile nella memoria gustativa.

Il Timorasso Derthona DOC “l’Imbevivile” 2019 di Claudio Mariotto è una piccola opera d’arte enologica: un vino bianco raro, complesso e affascinante, capace di emozionare e sorprendere.

Caro Claudio, questo vino lo trovo tutt'altro che imbevibile e ancora una volta non ti smentisci: ennesima testimonianza di grande passione, talento e rispetto per il territorio....... Chapeau !!!

Buone degustazioni a tutti!

D.B.

giovedì 11 dicembre 2025

Rubrica "Approfondimenti Tecnici" di VinoDegustando: Lieviti selezionati o indigeni? Differenze, vantaggi e svantaggi

Buongiorno e ben ritrovati su VinoDegustando!

La fermentazione del vino è il cuore di ogni cantina. Una scelta cruciale per produttori e appassionati riguarda i lieviti: affidarsi ai lieviti selezionati, frutto di ricerca e controllo, oppure puntare sui lieviti indigeni (autoctoni), autentica espressione del terroir.

Questo dibattito non riguarda solo il vino, ma anche la birra artigianale e la panificazione di qualità. La decisione influisce su aromi, profilo sensoriale, stabilità del processo fermentativo e identità del prodotto finale.

Lieviti indigeni (autoctoni): l’essenza del terroir

I lieviti indigeni sono microrganismi naturalmente presenti sull’uva, nelle cantine e nell’ambiente circostante. Avviano spontaneamente la fermentazione e rappresentano la vera valorizzazione del territorio.

Vantaggi dei lieviti indigeni

  • Complessità aromatica: popolazioni microbiche variabili arricchiscono il vino con esteri e aromi unici.
  • Espressione territoriale: il vino riflette il microbioma della vendemmia e dell’ambiente di produzione.
  • Naturalezza: ideali per produzioni biologiche, biodinamiche e naturali, con minimo intervento umano.

Svantaggi dei lieviti indigeni

  • Imprevedibilità: fermentazioni variabili, rischio di blocchi o lentezza.
  • Alterazioni: possibilità di acidità volatile, fenoli indesiderati o note solforose.
  • Gestione complessa: richiedono monitoraggio costante e analisi avanzate.

Lieviti selezionati: scienza e controllo

I lieviti selezionati (Saccharomyces cerevisiae e non-Saccharomyces commerciali) sono ceppi isolati e studiati in laboratorio per garantire fermentazioni ottimali. Sono disponibili in commercio in forma liofilizzata o liquida.

Vantaggi dei lieviti selezionati

  • Prevedibilità e consistenza: fermentazioni complete, sicure e riproducibili.
  • Efficienza e robustezza: resistono a condizioni difficili (alta gradazione, pH bassi, temperature estreme).
  • Profilo mirato: possibilità di indirizzare gli aromi verso note specifiche e desiderate.

Svantaggi dei lieviti selezionati

  • Omologazione del gusto: rischio di uniformità sensoriale a livello globale.
  • Meno complessità iniziale: profilo aromatico talvolta meno sfaccettato rispetto a fermentazioni spontanee.
  • Costi aggiuntivi: acquisto e gestione dei ceppi commerciali.

Una scelta di equilibrio

La scelta tra lieviti indigeni e selezionati non è una questione di giusto o sbagliato, ma di filosofia produttiva e gestione del rischio.

  • I lieviti selezionati garantiscono sicurezza e controllo, ideali per produzioni su larga scala.
  • I lieviti indigeni offrono complessità e identità territoriale, ma richiedono esperienza e accettazione del rischio.
  • Molti produttori adottano un approccio ibrido: arricchire il mosto con lieviti indigeni non-Saccharomyces e completare la fermentazione con Saccharomyces cerevisiae selezionati.

Conclusione

Il ruolo dei lieviti nella fermentazione del vino è cruciale: trasformano zuccheri in alcol e composti aromatici che definiscono il carattere organolettico di ogni bottiglia.

Che si scelgano lieviti indigeni o lieviti selezionati, l’obiettivo rimane lo stesso: creare vini autentici, di qualità e capaci di emozionare.

Buone degustazioni a tutti!

D.B.


martedì 9 dicembre 2025

Rubrica "Approfondimenti Tecnici" di VinoDegustando: Vendemmia meccanica vs manuale - vantaggi e limiti


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Oggi vi accompagniamo alla scoperta della raccolta meccanica dell’uva, tra vantaggi concreti e limiti da valutare con attenzione.

La vendemmia è da sempre uno dei momenti più suggestivi del calendario agricolo. In Italia, patria di vigneti storici e di eccellenze enologiche, la raccolta dell’uva rappresenta non solo un passaggio tecnico, ma anche un rito culturale. Negli ultimi decenni, accanto alla tradizionale raccolta manuale, si è diffusa la raccolta meccanica dell’uva, una pratica che suscita dibattito tra produttori, tecnici e appassionati. Ma quali sono i reali vantaggi e i limiti di questa tecnologia?

Cos’è la raccolta meccanica

La raccolta meccanica utilizza macchine vendemmiatrici, progettate per scuotere i filari e separare i grappoli dai tralci. Questi macchinari possono essere semoventi o trainati, e sono dotati di sistemi di convogliamento che trasportano l’uva in appositi contenitori. L’obiettivo è ridurre i tempi di vendemmia e ottimizzare la gestione delle superfici vitate, soprattutto in aree con grandi estensioni.

I vantaggi principali

La raccolta meccanica offre diversi benefici, che spiegano la sua crescente diffusione:

  • Efficienza e velocità: una macchina può vendemmiare diversi ettari in poche ore, riducendo drasticamente i tempi rispetto alla raccolta manuale.
  • Riduzione dei costi di manodopera: in un contesto di crescente difficoltà nel reperire personale stagionale, la meccanizzazione diventa una soluzione concreta.
  • Flessibilità operativa: le macchine possono lavorare anche di notte, sfruttando temperature più fresche e preservando la qualità delle uve.
  • Uniformità di raccolta: la vendemmia meccanica garantisce una maggiore omogeneità, utile per produzioni di larga scala.
  • Adattabilità a grandi superfici: nelle aziende con centinaia di ettari, la raccolta manuale sarebbe logisticamente insostenibile.

Questi vantaggi rendono la raccolta meccanica particolarmente interessante per vini destinati al mercato internazionale, dove la competitività si gioca anche sulla capacità di contenere i costi.

I limiti e le criticità

Nonostante i benefici, la raccolta meccanica presenta alcuni limiti che non possono essere trascurati:

  • Selezione meno accurata: la macchina non distingue tra grappoli perfetti e quelli danneggiati o non maturi. Questo può influire sulla qualità finale del vino.
  • Possibili danni ai grappoli: il sistema di scuotimento può provocare rotture degli acini, con rischio di ossidazione e fermentazioni indesiderate.
  • Compatibilità con il vigneto: non tutti gli impianti sono adatti alla raccolta meccanica. Filari troppo stretti o terreni scoscesi possono rendere difficile l’utilizzo delle macchine.
  • Investimento iniziale elevato: l’acquisto di una vendemmiatrice richiede capitali importanti, accessibili solo a realtà strutturate.
  • Impatto paesaggistico e culturale: la vendemmia manuale è parte integrante della tradizione. La meccanizzazione rischia di ridurre il valore sociale e turistico di questo momento.

Qualità vs quantità

La scelta tra raccolta manuale e meccanica dipende spesso dall’obiettivo produttivo. Per vini di alta gamma, destinati a esprimere il massimo del territorio, la raccolta manuale resta insostituibile: permette di selezionare grappolo per grappolo, garantendo precisione e cura. Per produzioni più ampie, invece, la raccolta meccanica consente di mantenere competitività senza compromettere eccessivamente la qualità, soprattutto se accompagnata da una gestione attenta in cantina.

Sostenibilità e innovazione

Un aspetto interessante riguarda la sostenibilità. Le moderne vendemmiatrici sono progettate per ridurre consumi energetici e impatti ambientali. Inoltre, la possibilità di raccogliere di notte contribuisce a preservare aromi e freschezza, riducendo l’uso di additivi in cantina. Alcune aziende stanno sperimentando sistemi di selezione ottica integrati alle macchine, per migliorare la qualità della raccolta e avvicinarla agli standard manuali.

Quindi per concludere possiamo dire che la raccolta meccanica dell’uva è una tecnologia che ha rivoluzionato il mondo vitivinicolo. I suoi vantaggi in termini di efficienza, costi e gestione delle grandi superfici sono indiscutibili. Tuttavia, i limiti legati alla selezione e alla qualità richiedono un approccio consapevole: non si tratta di sostituire la tradizione, ma di integrarla con l’innovazione.

Per i produttori, la sfida è trovare il giusto equilibrio tra qualità, sostenibilità e competitività, valorizzando la raccolta meccanica dove serve, senza rinunciare al fascino e alla precisione della vendemmia manuale. In questo modo, la tecnologia diventa alleata del vino, e non sua antagonista.

 Buone degustazioni a tutti!

D.B.